Dopo una fase di oblio, legata agli scandali che ne hanno costellato la concessione unica dai costi iperbolici, il Mose rivive. Nelle narrazioni di ogni giorno. Merito sicuro dell’acqua granda di novembre 2019 che ha risvegliato le coscienze e aperto i cordoni della borsa.
Ma a chi serve il Mose? Di sicuro alle imprese impegnate in un’opera senza progetto, senza verifiche scientifiche e senza collaudi. Tutte cose che si accavallano nell’”ultimo miglio”. Quello cruciale che preluderebbe all'entrata in funzione se i molti problemi aperti dall’opera venissero risolti.
Serve poi alle imprese che si candidano alla manutenzione, un’affare multimilionario come il resto dell’opera, ma proiettato nel tempo. Fino a quando? Ma questa è una seconda incognita, conseguente alla prima. Dopo che il Mose avrà dimostrato di funzionare, non certo con mare piatto e brezza marina, ma in condizioni estreme, come il 12 novembre!
Ed è questo che non si sa, né, allo stato, è dato conoscere. Perché l’opera procede al coperto del consorzio che la gestisce e della politica costretta a finanziarne la conclusione sulla quale il tarlo del dubbio si è ormai installato, ma viene tenuto silente.
Alla politica comunque serve. Eccome. Per poter dire al mondo: a presto la conclusione. Venezia è salva. Ma la certezza non c’è. Da cui due narrazioni contrapposte: quella istituzionale tenuta a rassicurare; e quella tecnica, seminata di sacrosanti dubbi scientifici su di un’opera prima che non ha precedenti.
Servirà ai veneziani? Certo, qualora funzionasse sono tenuti ad augurarselo, ma con tutte le cautele del caso, visto che la laguna la conoscono meglio dei progettisti.
E serve in particolare a una persona. Il sindaco pro tempore, Brugnaro. Quello che fino a ieri diceva di non sapere nulla del Mose, e oggi ne è l’alfiere. L’uomo solo al comando che rivendica per diritto elettivo la pratica della “dittatura idraulica”.
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