Con l’Acqua granda partono i grandi scavi. In laguna. Quelli di cui da tempo si parla per le navi a Marghera. Intercontinentali dall’Asia e passeggeri da Marittima. Sì, perché il mantra "via le navi da San Marco" partorisce il sì alle navi tra le industrie. Ma non è il meccanismo consolidato di riconversione dei vecchi porti in terminal turistici. No, è la frammistione tra industria e passeggeri. Coi rischi che comporta, su cui realisticamente si soprassiede. Naturalmente il tutto è provvisorio, poi si ritorna in Marittima dal Vittorio Emanuele, debitamente scavato. In pratica un monopoli navale alla fine del quale in laguna avremo più navi, e più grandi. Le crociere dettano l’agenda e il pubblico esegue, investendo in conformità. Del provvisorio conosciamo la regola: sarà definitivo. Sì, perché attorno alle vecchie banchine di prima zona c’è un pullulare di interessi immobiliari retrostanti. Casualmente, è il caso di dirlo, quelle aree fanno capo a rappresentanti di vertice di istituzioni e categorie cittadine. Ma è solo un caso, lo ribadiamo. Che nessuno fraintenda. Resta il fatto che nei tempi lunghi il porto sarà condizionato dalle chiusure del Mose. Sempre più frequenti. Se tra misure a breve e decisioni a lungo ci fosse coerenza servirebbe un nuovo piano regolatore portuale. Di cui è vietato parlare. Sarebbe contrario ai piccoli passi. Nel frattempo il porto proclama scioperi, le industrie protestano, le crociere gongolano. L’acqua granda di novembre è servita a sottomettere Venezia meglio di qualunque altro evento. È l’eterogenesi degli eventi sulla politica. Del resto Venezia fa gola a tutti.
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