Novello Mosè tra le acque di piazza San Marco, il sindaco sciorina dalle pagine del Gazzettino il futuro roseo ormai dietro l’angolo di una città in cui la vita ferve a dispetto di quelli che non ci credono. Tutti noti detrattori. E pare siano molti se sente il bisogno di un annuncio che sprizza ottimismo da tutti i pori. Stavolta non più dalla dark room del Tronchetto ma dalla carta stampata.
Sarà. Ma l’ottimismo in città è solo lui che lo sente, perché questa è la sua sola predicazione. Altra non ne ha da offrire, se non che il turismo ritornerà come prima. Con o senza Biennale, che sempre turismo è, la qualità non conta. La quantità invece sì. Vera industria del XXI secolo. Pandemia permettendo, solo un dettaglio!
E le perdite che ha prodotto? Beh ovvio, quelle le deve risarcire quel governo ingrato che lesina fondi e ristori alla città.
E poi c’è la città metropolitana, di cui si parla solo in occasione dei suoi magri bilanci e delle sue inesistenti politiche. Invece si tratta del nuovo contenitore dell’esodo dei veneziani, che più di uno si perita di glorificare, un fatto che sotto il titolo di grande Venezia diverrebbe del tutto secondario. Irrilevante.
Vadano pur via gli ultimi residenti. Masse di turismo premono alle porte. I 1600 anni della città giungono a pallino. Prova provata che Venezia è eterna. Brugnaro lo certifica nella veste di garante del prezioso brand commerciale che si è aggiudicato, ma che ora rischia di sfaldarsi tra le sue mani.
Questa la vera angoscia! E guardandosi intorno neppure in Veneto si tratta dei giorni migliori. Uno sforzo per cambiare è forse il momento di farlo. Da entrambe le parti.
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