Un quesito è d’obbligo. Perché a Venezia il turista si sente legittimato a fare ciò che altrove non farebbe? E perché proprio il turista veneto in particolare?
È bastata la riapertura dal lockdown regionale perché il malcostume del giornaliero veneto si riproponesse quasi a segnare il ritorno dell’arbitrio impunito e della mala educazione come regola.
Bivacco sul sagrato e bici per le calli, solo per dire di quelli noti, coi vigili che girano la testa
dall’altra parte, ligi alla consegna. Campo libero ai turisti, alla faccia di Enjoy&Respect Venice, lo scherno dopo l’insulto.
Ma questo non basta a spiegare i comportamenti. Per quale ragione libertà debba coniugarsi con sfregio alla città simbolo del Veneto, il brand di Zaia usato per il bivacco. Appropriarsi della città diversa degradandola significa forse negarle l’identità riducendola alle funzioni elementari di una scampagnata primaverile?
Ma perché no a Padova, Treviso, Vicenza o Verona?
Hanno un bel dire Brugnaro e Zaia sul ruolo trainante della città se poi tengono la bocca chiusa egli occhi girati su questi episodi assurti a regola da parte dei propri elettori.
Una spiegazione però esiste. Venezia è come una risorsa inesauribile da cui prelevare secondo la propria bisogna. Chi bivaccando, compiaciuto e impunito, chi usandola per grandi navi, nuovi alberghi, turisti a volontà e così via.
Non c’è differenza di percezione tra i due ma solo di ruolo. Non sentono la città come propria, semplicemente la usano compiaciuti.
Franco Migliorini per #TuttalaCittàinsieme!
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