Cos’hanno in comune il Canal Salso e il Canale dei Petroli? Il fatto che lungo entrambi scorra una strada e dunque il luogo sia appetibile per l’interscambio terra-acqua. Che in una città come Venezia sta alla base della logistica del trasporto. Urbano o marino che sia. E dunque perché lasciarla a disposizione per il tempo libero di cittadini sfaccendati anziché metterla nelle mani di bravi imprenditori che ne traggono dei sacri profitti? La cosa più importante al mondo? Su questo semplice assunto si muove il sindaco Brugnaro, che da una sequenza come alluvione-referendum avrebbe potuto uscire depotenziato mentre ne esce rafforzato, e non esita a riaffermare la visione mercantile che ispira il suo mandato e la sua vita. E così pure per il crocierismo. L’home port turistico di Venezia è semplicemente perfetto, se già non esistesse andrebbe fatto così, con aeroporto strada ferrovia città storica concentrati in un fazzoletto, e tutta la riserva di banchine industriali da sfruttare per i prossimi decenni, mano a mano che le navi continueranno a crescere. Di cosa si lamentano mai gli ambientalisti - perdigiorno anche loro, sia detto tra noi - per un po’ di fanghi spostati da sotto a sopra la laguna? Al massimo una variante paesaggistica, in tutto quel piattume limaccioso. Ci si potesse anche costruire sopra, sarebbe ben altra cosa. Ma non si può mai dire, il futuro è di chi se lo crea. Di fronte a questa visione, che riunisce attorno a precisi interessi il blocco sociale degli affari di cui Brugnaro è rappresentante ed espressione, la protesta è legittima ma insufficiente. Fino a che non si produrrà una visione alternativa della città, diversa dal solo turismo di massa, lo schema Brugnaro si riprodurrà in modo anche più determinato. Per l’alternativa bisogna guardare in due direzioni. Mettere in rete col mondo le eccellenze veneziane di arte, scienza e cultura, e radicare il ruolo di Mestre nell’entroterra veneto con l’offerta di servizi che vanno pensati e proposti. A questo servono i prossimi mesi.
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