L’inadeguatezza del Mose, per usare un eufemismo, appare ormai come un punto acquisito a chi guarda con onestà intellettuale, scevra cioè da interessi sul campo, la lezione da trarre dall’ultima alluvione. Il Mose è solo l’ultima trovata, palesemente dilatoria, di una interpretazione tutta tecnologica anziché convintamente ecologica della salvaguardia di Venezia e della sua laguna. È il momento di ribaltare il consociativismo ingegneristico fin qui dominante che ha sempre riunito disastri e rimedi, scavi e barriere, per lucrare su straordinari stanziamenti. La vera urgenza è ripristinare la strada dell’armonia tra una natura che cambia e nuovi comportamenti assai più consapevoli. Il negazionismo ambientale che sorregge l'ingegnerizzazione delle soluzioni con investimenti sempre più onerosi va combattuto rompendo il circolo autoreferenziale delle decisioni tra politica e poteri, rivolgendosi alla scienza pulita – per dirla con Luca Mercalli – che esiste e opera nel mondo, e che non si tirerà certo indietro per offrire un autorevole indirizzo su come ripensare Venezia. Per questo occorre dare gambe e strumenti alla consapevolezza nuova del problema Venezia. Tracciare una nuova traiettoria di uscita dall'artificiosa impasse del Mose per riprendere la via maestra di un consapevole equilibrio ambientale per la conservazione del patrimonio storico e naturalistico che tutto il mondo si aspetta. Su questa strada si colloca un nuovo rapporto tra economia e ambiente, declinato nelle due forme della portualità e del turismo odierni, a fronte di un ecosistema lagunare e di un patrimonio storico e culturale da tramandare ai posteri. Su tutto questo negli ultimi decenni si è proceduto separatamente, come se una cosa fosse scissa dalle altre. Non è affatto così. Bisogna invece riunire le diverse componenti sottraendole alla spinte autonome e divergenti di un mercato, quello economico e politico, che opera nel breve per massimizzare gli utili di oggi e scaricare tutte le conseguenze sul futuro. È giunto il momento di dire chiaramente che il rifiuto non è ignoranza ma connivenza.
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