In quel monòpoli che è divenuta l’urbanistica veneziana, il sindaco Brugnaro gioca sempre con una carta di riserva, un jolly da piazzare ovunque, ogni qualvolta serva. È il jolly della destinazione turistico-alberghiera, quella che trasforma il mattone in oro e l’investitore di turno nel fortunato vincitore. Solo per citare i più recenti, ma certo non gli ultimi. L’Orto botanico del signor Marseglia in cinque stelle vista giardino; i gasometri in un sette piani vista laguna; l’ortofrutta al Tronchetto in hotel annesso garage. Allo smantellamento di usi urbani variamente obsoleti corrispondono riusi invariabilmente alberghieri sulla scacchiera immobiliare di una città in via di irreversibile conversione in villaggio turistico di investitori internazionali. La casella del monòpoli non esaurisce però i suoi effetti solo al proprio interno, bensì proietta la propria presenza all’intorno. Esemplare Il caso dei gasometri, dove il sette piani è destinato a proiettare la propria ombra letale su di una vigna, facendola deperire. Sì, una vigna nel cuore di Venezia, testimonianza vivente di una secolare consuetudine monastica a documentare il principio dell’autosufficienza alimentare. Reperto simbolico del principio di sussistenza di un'intera città con la sua laguna. Bene, quella testimonianza sparirà, nell’attesa che magari scompaiano anche i frati viticoltori per far posto all’immancabile hotel, stavolta orizzontale, nelle celle monastiche con vista chiostro. L’ombra del dubbio non sfiora l’uomo del monòpoli. I diritti sono sempre dalla parte dell’investitore. Questa è la regola dell’uomo solo al comando. Ma esistono anche abitanti e cittadini, detentori di un potere, quello di farsi sentire al di fuori delle stanze in cui si usa giocare.
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