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Oggi su La Nuova, Franco Migliorini sul possibile domani del museo M9 e di Mestre.

A margine, alcune riflessioni sul futuro di Venezia e dei suoi territori.


Quello che manifestazioni, convegni e proposte a non finire non sono finora riusciti a fare, il nuovo virus globale lo ha fatto in pochi giorni. Azzerare un modello di economia urbana di Venezia basata sul turismo globale e imporre la riflessione su di un'alternativa che non viene da sé ma va costruita. Al centro, il tema del valore economico della città nell’epoca di una economia internazionale costretta a ridimensionare gli scambi forsennati, di merci e di uomini, delle filiere lunghe globalizzate senza perdere il valore, ma trasferendolo su altre modalità di produzione e di trasmissione. Dunque fruendo dei processi di smaterializzazione dell’economia consentiti dal digitale applicato ai nuovi ambiti così come a quelli tradizionali. Con certezza, due sono le specializzazioni di Venezia: il patrimonio storico culturale e quello ambientale. Basi concrete per dialogare col mondo, purché ci si doti di tutto ciò che serve, e cioè di programmi di investimento, di reti di relazioni e di personale addestrato a lavorare con queste modalità. Le università già operano su queste basi per compito istituzionale ma è necessario che altre realtà si aggreghino con nuove strutture di lavoro ad occupare spazi e a sfruttare le opportunità che la città offre a chi le sa sfruttare. In larga parte l’economia manifatturiera della città storica ha già subito il processo di smaterializzazione o di trasferimento, mentre il processo di digitalizzazione avanza nell’economia industriale manifatturiera dell’entroterra veneziano e veneto. Si tratta di sistemi che devono imparare a dialogare assi più tra loro oltre le consuetudini simboliche e rappresentative che l’economia manifatturiera che regge la regione assegna al simbolo di “Land of Venice”. Al tempo stesso c’è tutto un settore della tradizione artigiana veneziana di prodotti e di materiali che deve essere assistito nello sforzo di introiettare quel tanto di evoluzione tecnologica che gli consente di riproporsi su di un mercato diverso ma sempre esistente. Il turismo non scomparirà di certo, quelle che scompariranno sono le forme estreme dell’overturismo che abbiamo conosciuto e che negli anni più recenti hanno degradato e umiliato l’immagine della città passata nelle mani avide di profittatori senza scrupoli alla ricerca di profitti immediati. Previsione e programmazione dei flussi compatibili saranno finalmente praticabili e le filiere di maggior valore aggiunto saranno chiamate ad operare per un turismo consapevole. Venezia resterà sempre il primo e più completo hub di trasporti del Nordest, ma senza perseguire il sovradimensionamento delle infrastrutture tarato sull’overturismo. Il crocierismo dovrà assumere le forme della compatibilità con l’ambiente lagunare, per il quale esistono già oggi le premesse. E nell’hinterland veneziano potranno trovare molto più spazio quelle forme di turismo rurale che fruiscono di un patrimonio paesaggistico e culturale anche più ricco di tanti altri paesi europei che lo praticano con successo. Diciamo senza eccesso di retorica che questa crisi non va sprecata m va capita per il significato che ha.



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