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Patriarca in campo.

Scalpore, indignazione e condanna suscitò pochi anni or sono il libro di Salvatore Settis “Se Venezia muore”, una raccolta di riflessioni sul destino di una città in declino per l’oblio di tanti suoi abitanti e per il cinico modernismo di certi pragmatici, e assetati, innovatori.

In quella “maladiagnosi” irrisa e denunciata era presente tutto ciò che a seguire si è verificato, dall’esodo demografico alla crescente overdose di turismo. Ma una cosa mancava, la nuova grande alluvione che ha riposizionato Venezia all’avanguardia mondiale del cambiamento climatico.

Ora il quadro è completo e ci restituisce semplicemente l’immagine della realtà. Quella su cui è in pieno svolgimento la campagna di disinformazione elettorale per trasformare la realtà in una fantasia da cui lucrare ancor più sul disastro in essere, proclamandosi salvatori. Un classico degli sciacalli.

Non deve allora stupire se dalla bocca del Patriarca, in una occasione simbolica come il concerto di Natale, escano parole di fondata preoccupazione sul destino, sul declino, della città.

A maggior ragione se questo avviene in un luogo come la Basilica di San Marco appena emersa dalle acque che un mese fa l'avevano ricoperta.

Nel guardare alla declinante comunità insulare, Moraglia si smarca dal cinico ottimismo della vulgata istituzionale per dire che sì, il rischio che Venezia muoia esiste ed è prossimo. Con ciò aderendo al pensiero dell'eccezionalità che invoca lo statuto speciale per la città insulare, e misure per la permanenza di un dinamico presidio demografico.

Una testimonianza di verità comunicata direttamente ai cittadini, che si prende la libertà di dire dal pulpito quello che in altre circostanze viene smorzato per compito istituzionale.

Non è con la logica del “divide et impera” che Venezia troverà la soluzione ai suo declino. Almeno per quanti il declino sono realmente intenzionati a combattere.

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