Nella luce che ci giunge dal fondo del tunnel del lockdown si stagliano ormai dei profili abbastanza distinti sulla ripresa dell'economia urbana.
Da un lato un coro variegato di voci che chiedono una inversione di rotta verso un'economia turistica meno pervasiva dell’overtourism degli ultimi anni, e proprio per questo più qualificata e più remunerativa. Dall’altro invece un richiamo al come prima e, anzi, più di prima, perché dovremo recuperare quel che abbiamo perso.
Tutto questo mentre in città gli effetti del crollo immobiliare per l’assenza del turismo ormai si registrano con evidenza sia nel settore commerciale che in quello turistico-residenziale. Come se la dinamica di mercato dicesse meglio fitti sicuri e continuativi che lucrose rendite a rischio.
Non parliamo di crisi di coscienza ma di crisi di entrate, a fronte di uscite certe e insostenibili per molti. Quelli che percepiscono l’incalzare dei debiti contratti a fronte del crollo degli incassi previsti.
Si tratta di un momento cruciale non solo per i singoli ma per la città intera. O in questa fase si innestano gli strumenti del cambiamento o ripiombiamo in un vortice peggiore di prima. Per una ragione precisa.
Chi è in difficoltà potrebbe facilmente essere attratto dai pochi, maledetti e subito. Che esistono, circolano e operano. E non da oggi. In città sono sulla bocca di tutti.
Diciamolo fuori dai denti. Si tratta di usura e di mafia per le quali l’economia turistica veneziana è un terreno ideale di azione dato che gli intermediari della zona grigia si trovano sempre. A questo virus non c’è immunità che tenga.
Gli obiettivi dell'amministrazione che si insedierà dovranno essere due:
ricucire con strumenti idonei, in cui la volontà politica fa la differenza, il rapporto tra i cittadini e l’uso del patrimonio della città, dal quale in molti sono stati brutalmente allontanati, o lo hanno fatto volontariamente;
intraprendere la strada della diversificazione della base economica urbana verso la valorizzazione delle autentiche risorse veneziane, il patrimonio storico artistico e culturale, e la singolare esperienza di convivenza con l’ambiente.
Per questo serve agire sulle relazioni internazionali con l’Europa e col mondo. Serve usare le Università e gli istituti specializzati della città per valorizzare le competenze che servono a radicare il futuro di Venezia nella economia della conoscenza e del digitale.
Non si tratta di utopia urbana ma di consapevolezze di stare nel XXI secolo.
A tutto questo si oppone la condotta del decantato pragmatismo imprenditoriale, quello che ha infilato la città nel tunnel, e lì vorrebbe continuare a tenercela, sostituendo gli osanna di ieri coi lamenti di oggi.
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