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Salvarsi col Mose o salvarsi dal Mose?

La seconda Acqua granda dopo mezzo secolo dalla prima ha dato la stura a tutto quello che per anni è stato taciuto e nascosto sotto un velo di ipocrisia che non possiamo definire che di regime. Politico, idraulico e industriale. Quello che si è impadronito del Mose per trasformarlo in business, a carico dell’erario, con benefit per tutti quelli che ci stavano, annuendo compiaciuti e silenti. La lista è destinata ad allungarsi ben oltre quella della magistratura, non necessariamente per reati penali ma per omertà di regime. È l’ora di uno scarica barile che ha per obiettivo di lasciare il cerino nelle mani di qualcuno che dovrà prendersi la briga di dire la parola fine ad un’opera già morta, ma ancora senza il permesso per il funerale. Finirla per dichiararla finalmente inutile, con nuovi soldi e lungaggini post emergenziali, o prendere subito il toro per le corna senza l’aggiunta di ulteriori alluvioni e danni, e relative sceneggiate? Per chi pensa che l’ora della verità sia giunta è tempo di pretendere una opinione tecnica e strategica sottratta al profluvio di dichiarazioni che in questi giorni piovono da ogni dove. Il tema è semplice: che rapporto esiste tra il Mose e la tutela strategica di Venezia e della sua laguna, e che farsene del Mose dopo averci speso un pozzo di soldi? Ma a chi affidare un simile compito che pretende competenza e onestà intellettuale? Venezia che sta sulla scena internazionale merita un concorso internazionale di intelletti. Una apertura che è sempre stata negata in nome di un nazionalismo saturo degli interessi che abbiamo visto scendere in campo. È un metodo semplice e veloce, poco costoso ed efficace per chi vuole la verità. Irto invece di difficoltà per chi non lo vuole. Staremo a vedere, ma fin d’ora sconsigliamo vivamente chi già ci pensa dal dire che sono lungaggini inaccettabili. Perché, sono forse accettabili quelle fin qui gravate da omertoso silenzio? Nel frattempo pare arriverà un commissario già incardinato nella figura del sindaco pro tempore. Può darsi che la italica tradizione istituzionale preveda questo passo come dovuto, ma diciamo subito che mettere città e laguna nelle mani di chi finora se ne è altamente infischiato predicando scavo di canali e grandi navi ci pare la beffa dopo il danno. Se così dovrà essere che sia breve, circoscritta e monitorata la sua azione. In città siamo pronti a farlo ma da Roma tengano gli occhi bene aperti. Vero è che si è mostrato in lacrime, ma in epoca di grande comunicazione è bene non fermarsi alle apparenze.

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